Il marketing tribale: tra brand community e fidelizzazione.
Cos’è il tribal marketing
“Sia che si tratti di grande masse tribali o di piccoli raduni locali, i gruppi tribali hanno un aspetto ritualistico che offre terreno fertile per operazioni di marketing”. A scriverlo è stato Bernard Cova considerato il padre del marketing tribale.
Questa è la strategia di vendita che analizzeremo nel nostro terzo appuntamento con AdS.Trend.
Il marketing tribale è figlio della postmodernità e inizia ad essere teorizzato con l’arrivo del nuovo millennio e del concetto di “globalizzazione”. Sempre meno legati alla territorialità e ai grandi ideali, come la politica e la religione, gli individui cercano nuove forme di aggregazione.
Il tribal marketing trasforma il brand in un aggregatore di persone. Nessuna affinità per età, credo o stato sociale tra i membri, ma una sola cosa in comune: uno stile di vita legato a un prodotto.
Come funziona il tribal marketing
Una strategia basata su questo tipo di approccio analizza e ascolta la comunità che è nata intorno ad un determinato prodotto creando un forte legame e soprattutto fidelizzazione. Il brand è il nuovo feticcio attorno a cui la tribù si riunisce, si riconosce nei suoi valori e vuole entrare a far parte del mondo della marca.
Anche questa è una strategia di marketing non convenzionale (come il marketing virale e il buzz marketing) che mira a creare una comunità collegata al prodotto o servizio che si intende promuovere. Tutto ruota intorno alla capacità del brand di formare delle comunità, supportarne lo sviluppo e rafforzarle dall’interno affinché si autoalimentino.
Per fare ciò è necessario che il marchio sia coerente, che la sua identità e il suo sistema valoriale siano ben definiti e soprattutto ben comunicati. Solo se il mondo della marca è chiaro e definito gli individui possono riconoscersi in esso e aggregarsi intorno ai suoi valori.
Il primo teorico, Michel Maffesolì
Il sociologo francese Michel Maffesoli è stato il primo a teorizzare il concetto di tribalismo della postmodernità. La sua teoria è quella dell’uomo postmoderno che, in un contesto globalizzato e confusionario, cerca di ritagliarsi degli spazi di umanità attraverso legami emozionali e comunitari. L’uomo che ha visto tramontare gli ideali della modernità si “rifugia nel mito”.
Ciò che Maffesoli chiama tribù è l’unione tra persone la cui vicinanza è data dalla condivisione di nuovi valori ed è fondata sul sentire comune.
Nel mondo globalizzato delle megalopoli, l’uomo ricerca la dimensione del “quartiere” e della condivisione che però non è più territoriale ma legata a “ideali alternativi”. Bernard Cova scrive, sempre agli inizi del millennio, “Consumer Tribes” dove spiega il funzionamento di questa nuova strategia.
Il #tribalmarketing non crea un vincolo personale con il consumatore, piuttosto, cerca di “mantenere il legame fra i clienti stessi, aiutandoli a condividere le loro passioni grazie a un prodotto o un servizio che abbia valore di legame”. E’ questa la base sulla quale nasce e si concretizza il marketing tribale, una tecnica ampiamente usata dalle grandi multinazionali.
Alcuni esempi classici: Apple
Il mondo Apple. Arriva il Mac e il mondo si scinde: Mac o Pc? Ed ecco che la domanda non è più “Quale prodotto usi per lavorare o divertirti?” ma “Chi sei?”. Apple è indubbiamente il marchio che ha giocato meglio nel campo del tribal marketing.
La multinazionale dell’informatica è riuscita a dare vita, sin dagli esordi, ad un mondo che nasceva intono alla mela morsa multicolore. Si poneva come marchio di rottura, alternativo, “Think different”, appunto.

Oggi avere un prodotto Apple è un “must”, possedere o no l’iPhone ti rende parte o non parte di una vera e propria comunità formata dallo smanettone, dallo sviluppatore ma anche dal semplice appassionato che apprezza la facilità dello strumento che consente di fare “tutto quello che vuoi”. Il successo di Apple, è sicuramente anche dovuto alle community online che hanno permesso di condividere video, recensioni e scambiarsi informazioni sul funzionamento del prodotto.
L’esempio di Starbucks
La nota catena di caffetterie è l’icona di tutto ciò che è trendy, contemporaneo, giovane, dinamico e cosmopolita. In ogni paese il marchio Starbucks ha avuto la capacità di aggregare persone molto diverse fra loro. “My idea” di Starbucks è una campagna che segue le regole del tribal marketing. I numerosissimi membri della community di My Starbucks Idea hanno portato all’attuazione di circa 300 innovazioni attraverso i loro suggerimenti.

Dalla mancia digitale, alla limonata alla pesca verde, alla possibilità di apprezzare la connessione Wi-Fi gratuita.
“I nostri clienti e partner appassionati hanno condiviso le loro idee con noi sulla My Starbucks Idea, e abbiamo ascoltato e messo in atto le straordinarie innovazioni che abbiamo ricevuto da questa community online“.
In questo modo Starbucks ha dato importanza alla clientela e rafforzato la sua comunità.
L’esempio di Harley Davidson
Gli harleysti sono da sempre la comunità per eccellenza nata intorno ad un prodotto, per cui potremmo definirlo l’esempio più classico di marketing tribale. L’harleysta non è un motociclista come tutti gli altri, ha uno stile di guida a parte. E’ quasi una figura mitologica metà uomo e metà moto avvolta nel fascino del mito che il marchio Harley Davidson ha saputo creare. Non solo raduni fisici ma anche siti, gruppi Facebook e club on line, questi sono i luoghi in cui gli harleysti si incontrano.

E’ in questi “non luoghi” che la comunità parla dei vari modelli di moto, posta le proprie prestazioni in strada e contribuisce a creare il mito per cui essere harleysta è l’unica strada per essere liberi. “All for freedom, freedom for all”.
L’evoluzione: La brand community
L’avvento di internet ha favorito la creazione di gruppi in rete intorno alle tematiche più diverse.
E’ così che, soprattutto grazie ai social, il marketing tribale prende la forma delle “Brand communities”. Si tratta di “community online specializzate, non limitate geograficamente, basate su una comunicazione sociale e di relazione fra i consumatori di un brand”.
Una community si differenzia da qualsiasi altro strumento di marketing poiché nell’ambito del gruppo non si parla solo con il brand ma anche e soprattutto fra i membri, su argomenti di loro scelta, con chi vogliono e quando vogliono. Il ruolo dell’azienda a questo punto diventa quello di “uditore”: è la community stessa a dare stimoli all’azienda e a orientare le sue azioni di conseguenza.
La community diventa quindi un punto di riferimento fondamentale per il brand che può orientare le sue scelte in maniera più agevole grazie ad un continuo scambio di informazioni con il proprio target.
Ruolo del marchio è quello di partecipare attivamente alle discussioni, stimolarne le conversazioni dando soddisfazione ai membri stessi ma allo stesso tempo ottenendo feedback più veloci e più accurati sui servizi e sui prodotti.
Tribal marketing come fare e consigli
Come possiamo sviluppare questo tipo di strategia? Innanzitutto è necessario:
- Individuare i gruppi tribali esistenti, nati intorno ad una passione o un’attività, che possono diventare potenzialmente interessanti, ed studiarne rituali e i codici.
- Coinvolgere la tribù nell’elaborazione del prodotto o dell’offerta facendoli sentire coprogettisti del marchio.
- Offrire un legame emotivo. Il marchio deve farsi amare e non vendere a tutti i costi, è necessario evitare il tono commerciale e fidelizzare la community. Un utente fedele ma anche affezionato crea un rapporto affettivo e di fiducia con il brand, sentendosi esso stesso parte del suo mondo.
- Condividere contenuti di qualità con la community è indispensabile affinché le persone capiscano che appartenere a quella comunità ha valore ed aumentino il rapporto che hanno con il brand. La community, se coltivata e stimolata, genera clienti soddisfatti, che diventano da quel momento in poi ambasciatori della marca.
- Essere sempre coinvolgenti, accattivanti, attenti alle notizie del giorno e al sentiment della propria tribù è la strada giusta per una buona strategia di tribal marketing
Conclusioni
In conclusione, tu cosa ne pensi? Hai mai pensato di realizzare per la tua azienda una strategia di marketing tribale?